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Il Mes, questo sconosciuto

Mes, Eurogruppo approva riforma. M5s dice sì ma anche no

M5s dice sì alla riforma (ma anche no)

Mes, tutti lo invocano, molti lo odiano, ma pochissimi sanno esattamente di cosa si sta parlando. Il cosiddetto Meccanismo europeo di stabilità, anche noto come Fondo salva-Stati, è tornato oggi ad infiammare il dibattito pubblico perché oggetto di discussione in sede di Eurogruppo, cioè la riunione di tutti i ministri delle Finanze europei.

All’incontro, che poi si è concluso con un via libera alla riforma del Mes, ha partecipato ovviamente anche il ministro dell’Economia italiano, Roberto Gualtieri. Ma già alla vigila del vertice, in Italia, si è scatenata una guerra ideologica tra detrattori e fautori del fondo.

È successo che Gualtieri è andato dinanzi alle competenti commissioni di Camera e Senato ad annunciare che l’Italia non avrebbe posto il veto sulla riforma del Mes, oggetto di discussione all’Eurogruppo.

Decisione che è figlia di una sintesi raggiunta all’interno della maggioranza. In pratica il Movimento 5 Stelle, da sempre avverso al Mes, ha accettato di non opporsi alla riforma del Meccanismo in sede europea, fermo restando però che il vituperato Mes non venga mai richiesto dall’Italia.

E Gualtieri lo ha detto chiaro e tondo: “La riforma del Mes è cosa distinta dal suo utilizzo”. Una paraculata? Può darsi, che però ci ha permesso di non prendere una decisione alla Orban. Avete presente? Il presidente dell’Ungheria, non esattamente un campione di democrazia e virtù. Ma questa è un’altra storia…

Il succo è che strategicamente non potevamo dire no, quando paesi come la Germania che ci hanno aiutato varando il Recovery Fund, di cui l’Italia è tra i maggiori beneficiari, ci hanno chiesto di aderire.

Che ve lo dico a fa’? Siamo in Italia e l’audizione di Gualtieri si è subito trasformata in burrasca. Con una fronda di dissidenti grillini che gridavano al tradimento e il leghista Claudio Borghi che ha addirittura diffidato il ministro dell’Economia. Diffidato, cioè ha evocato una “responsabilità penale” di Gualtieri se avesse approvato la riforma del Mes.

Alla fine l’Eurogruppo ha dato l’ok definitivo all’accordo di riforma. Che comunque dovrà essere firmata formalmente da tutti gli Stati aderenti, cioè quelli della zona euro. La firma è prevista per il 27 gennaio e fino ad allora i parlamenti nazionali avranno tutto il tempo di studiarsi le carte.

In previsione delle acerrime discussioni che verranno, sarebbe utile però capire su cosa si sta litigando. Proviamoci.

Cosa è il Mes?

È un trattato intergovernativo, cioè è un accordo internazionale esterno ai Trattati europei e i fondi per il suo funzionamento vengono forniti direttamente dai suoi Stati membri.

In pratica è un accantonamento di soldi, tanti soldi, che servono a mantenere la stabilità finanziaria dell’Europa. Come? Emettendo dei prestiti sulla base di condizioni piuttosto rigide, ma comunque a tassi molto agevolati, ai Paesi che rischiano di finire in default. Cioè come la Grecia.

Al suo interno il Mes ha diverse linee di credito. Una di queste è la sanità, di cui si è discusso in questi mesi di pandemia e alla quale l’Italia potrebbe valutare di accedere, secondo Pd e Italia Viva. Un’altra è per il salvataggio delle banche in crisi, di cui si è parlato proprio oggi con l’approvazione della riforma.

Come funziona? Lo Stato in difficoltà ne fa richiesta. Il Mes chiede alla Commissione europea di valutare lo stato di salute di quel Paese. Insieme alla Bce e se necessario il Fondo monetario internazionale, si stabilisce se la crisi di quello Stato può contagiare il resto d’Europa.

Fatte le dovute valutazioni, il Mes decide di agire e aiutare il Paese in difficoltà. Il tutto nell’arco di 7 giorni dalla data di richiesta formale. Significa cioè avere soldi subito e non nel 2021 come quelli ambitissimi del Recovery Fund. Per questo motivo, secondo alcuni, il Mes potrebbe rivelarsi utile come ponte o cuscinetto, se dovessimo trovarci con l’acqua alla gola prima dell’arrivo dei miliardi già promessi.

Dove sta l’inghippo?

Che si tratta comunque di prestiti, a tassi bassissimi certo, ma non sono sovvenzioni. Sono “aiuti” che vanno a creare altro debito, che poi va ripagato. In termini finanziari, d’altronde, è così che ci si rimette in piedi. È come se avessimo contratto un mutuo e ad un certo punto non ce la facessimo più a pagare le rate. Che si fa? Si va in banca e si rinegozia quel mutuo a condizioni più agevolate.

C’è poi un discorso di stigma che va affrontato. Nell’Eurogruppo di aprile gli Stati membri avevano trovato un compromesso per l’attuale crisi dovuta alla pandemia. Avevano concordato cioè che se uno Stato avrà bisogno di aiuto per sostenere le spese sanitarie dovute al coronavirus potrà accedere al fondo senza condizioni.

Spetterà poi al singolo Paese avanzare richiesta di aiuto in completa autonomia. Nessun governo sarà cioè costretto ad utilizzarlo.

Ma in questi mesi nessun Paese Ue ha mai scelto di attivare il Mes.

Sembra che nessuno lo voglia, anche a causa di preconcetti. In primis lo spettro della famigerata Troika e quindi la fobia di una nuova austerità. Poi il timore di una ristrutturazione del debito, in caso malaugurato di ricorso al Mes. Circostanza che dovrebbe essere smentita dall’accordo di riforma appena approvato poiché non è prevista una ristrutturazione preventiva per accedervi.

Resta il fatto che, se nessuno lo vuole, significherebbe dare ai mercati un segnale negativo sulla propria stabilità finanziaria. Ma allora, se così fosse, se l’effetto stigma dovesse consolidarsi nel tempo, che senso avrebbe tenere tutti quei soldi fermi in Lussemburgo, se nessun Paese dovesse decidere di chiederli?

Cosa prevede la riforma del Mes

Dopo un anno di attesa dovuto allo scoppio della crisi Covid, la riforma del Meccanismo europeo di stabilità ha ottenuto l’ok definitivo.

L’obiettivo è di prevenire le crisi invece che curarle con dolorosi programmi di aggiustamento che sono costati al Mes la sua fama.

La riforma punta quindi a rafforzare e semplificare l’uso degli strumenti messi a disposizione prima del salvataggio di un Paese. Si chiamano linee di credito precauzionali, cioè prestiti utilizzabili nel caso in cui un Paese venga colpito da uno shock economico e voglia evitare di finire sotto stress sui mercati.

Sparisce poi l’odiatissimo Memorandum. Vi ricordate il documento che ha imposto condizioni rigidissime alla Grecia? Al suo posto è prevista una lettera d’intenti con la quale il Paese in questione si impegnerà a rispettare le regole del Patto di stabilità. Quindi, scordiamoci la flessibilità? Magari su questo punto sarebbe utile maggiore chiarezza.

C’è poi il famoso backstop, che sarebbe un paracadute del paracadute, cioè una rete di salvataggio di sostegno comune al Fondo salva-banche, per sostituire lo strumento di ricapitalizzazione diretta.

Che vuol dire? Che se dovessero finire le risorse a disposizione per completare i fallimenti ordinati delle banche in difficoltà, Il Mes potrebbe prestare al Fondo Salva-banche ulteriori 68 miliardi di euro.

In soldoni, con la riforma, il salva-Stati potrà essere usato anche per salvare le banche. Grazie alla decisione di oggi il backstop entrerà in vigore prima del previsto, cioè nel 2022 invece del 2024.

Era uno dei tasselli mancanti dell’Unione bancaria che l’Italia ha fortemente voluto. L’ultimo pilastro sarà l’Edis, cioè uno schema di assicurazione comune sui depositi. L’auspicio è che così facendo avremo un settore bancario più robusto contro gli attacchi degli speculatori. Avete presente la serie tv Diavoli?

E con banche robuste, si spera che tornino ad essere in grado di sostenere l’economia reale, cioè famiglie e imprenditori.

Le ragioni di chi dice no al Mes

Al di la della riforma i 5 Stelle da un lato e Fdi e Lega dall’altro, potrebbero alzare di molto i toni perché contrari al Mes.

Il M5s chiede infatti che si dica una volta per tutte che l’Italia non lo userà mai, neanche quello sanitario. Motivo? Non lo ritengono uno strumento adeguato, oltre che insidioso.

Questa scelta però potrebbe rivelarsi paradossale, perché l’Italia si troverebbe a versare e offrire garanzie finanziarie per uno strumento di cui beneficerebbero solo gli altri Paesi. Ammesso che lo vogliano.

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